Sono appena uscito dall’aeroporto di Phnom Penh, in Cambogia, e c’è un’umidità intensa, un’umidità intensa, tanto intensa che mi ricorda l’arrivo tanti anni fa all’aeroporto di New Orleans. Al solo mettere un piede fuori dall’aeroporto stavo già sudando. Ecco, qui forse è ancora più umido. L’umidità è ancora più intensa, di quella che ti si appiccica addosso, di quella che ti sembra di fare una doccia ad ogni singolo passo.

So già come muovermi, perché ho visto che anche in Cambogia, come in Vietnam, c’è un’app chiamata Grab, che è un po’ come l’Uber locale in questa regione del mondo. Chiamo un tuk tuk, il mio autista mi sta già aspettando, entro nel tuk tuk e ci avviamo verso il centro della città.

È tardo pomeriggio, ma in questo periodo dell’anno da queste parti il sole tramonta relativamente presto. Quindi già iniziando a fare buio.

Iniziamo a sfrecciare per le vie della città. La prima cosa che mi colpisce è il misto di nuovo e di tradizione, come la modernità si mischia alla tradizione locale. Vedo ad esempio degli edifici nuovissimi, con degli Starbucks molto puliti che sembrano avere appena aperto, e di fronte dei baracchini, dei carrettini che vendono cibo per strada, probabilmente per meno di 1$, quando il caffè a Starbucks probabilmente ne costa cinque. Quindi con un caffè di Starbucks, uno per strada può mangiare per cinque giornate di fila.